Le motivazioni della giuria ai Racconti Brevi


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Le motivazioni della giuria del Premio Letterario Zeno alla cinquina della sezione Racconti Brevi.

30/01/2020 | 16:00

PRIMA CLASSIFICATA: Angela Flori, La vita mette fretta, l’amore invece è l’acqua ferma di un lago (Il mostro di Canterno) 

Un racconto che colpisce subito, interessante per organizzazione, sviluppo e vicenda, grazie alle riflessioni del protagonista, voce narrante, sull’opportunità di rivisitare un luogo che aveva frequentato quand’era bambino. Niente gli sembra essere come dovrebbe e come lo ricordava. Il lago, pieno di fascino quando, ragazzini, si recavano nel bosco. Ma lì si potevano incontrare adulti condiscendenti, che sembravano voler partecipare ai loro giochi e che avevano ben altre mire. Ricorda quell’estate, quando qualcosa finì per sempre. Accade qualcosa e la vicenda si chiude, spaventosa per quanto sottintende: lo stupro come contaminazione non solo per chi lo subisce, ma anche per chi vi assiste. I personaggi costituiscono un sistema complesso: come complessi sono alcuni caratteri, in particolar modo quello del protagonista che dall’adolescenza alla maturità subisce un vero e proprio ribaltamento. Ma anche gli episodi in cui il testo è articolato hanno un loro protagonista e un antagonista: la vittima e il carnefice, il giovane e il vecchio, che da un episodio all’altro si alternano e si scambiano i ruoli. Lo svolgersi della vicenda è accompagnato dall’evolversi dell’ambiente: da “mondo incantato” patrimonio dei bimbi senza paura, che cercano draghi e altre strane creature, a mondo che incantato non è, ma trappola mortale, dove, nel bosco che circonda l’acqua, risiedono i mostri veri, che violentano e uccidono. La storia copre un arco di molti anni, ma ognuno degli episodi principali copre un arco di tempo piuttosto breve. Il tempo scorre sempre più veloce, come l’innocenza violata. Per quanto riguarda la lingua, scorrevoli le parti espositive, buoni i dialoghi: sintetici ed efficaci. Discreta la padronanza del lessico, con tocchi originali nella scelta delle parole. Testo dalle tinte violente. Nel titolo si accenna all’amore, che non si ritrova nel testo. (VALERIA ONGARO)


SECONDO CLASSIFICATO: Antonio Iannone, Infanzia di un transumanista

Il testo presenta una struttura con una parte introduttiva di un certo respiro, uno sviluppo ampio, una conclusione lapidaria. Ma ciò che sembra condurre le fila del racconto è l’alternanza di narrazione e riflessione. Il testo non è un racconto di fatti, ma i fatti scandiscono l’evoluzione interiore del protagonista. Potremmo collocarlo tra i racconti “di formazione”, quei racconti che colgono i “dolori della crescita”. L’incipit ci riporta all’infanzia del protagonista, serena di giorno, ma segnata fin da bambino dalla difficoltà a lasciarsi andare a un sonno ristoratore, tormentato com’è da sensazioni e ricordi angosciosi. La mancanza di sonno influisce negativamente sul suo benessere e la sua salute, come l’incapacità di farsi aiutare sul piano affettivo dai familiari. La parte maggiore del testo resta sospesa tra passato e presente, tra racconto e commento, tra evocazioni angosciose e la paura della morte. Con l’adolescenza questa malattia dell’anima si accentua, rende precaria la sua salute, e con il passare degli anni finisce per indirizzare i suoi studi e condizionare i suoi interessi di adulto. La conclusione è lapidaria: una presa di coscienza della situazione. Per quanto riguarda l’espressione, si avverte la volontà di mantenere uno stile sostenuto. (VALERIA ONGARO)

Buon lessico, chiaro e ben leggibile il testo introspettivo. Particolare e significativa l’analisi sugli stati d’animo. (FEDERICA CAPODURI)


TERZA CLASSIFICATA: Carla Cirillo, Preghiera 

Nella fortezza fobico-ossessiva della protagonista, si apre una breccia ed irrompono le emozioni. Una scrittura volutamente spoglia ed una voce narrante sottotono per descrivere, efficacemente, un mondo ordinato e arido, assediato dalla solitudine. (CARLO NELLO CECCARELLI)

Testo ben strutturato. La storia vi si cala dentro con precisione. L’incipit ci proietta nella mente della protagonista alla ricerca di se stessa e della parola chiave che possa aprire il suo mondo interiore. L’incontro si svolge in modo inatteso e consiste in un dialogo, in cui si confrontano due personaggi, la donna e un giovane prete che cerca di convertirla alla fede attraverso la preghiera. Ma i punti di vista dei due divergono. Curiosa l’ambientazione, risolta tutta all’interno di una stanza, un soggiorno, la cui sola apertura, e fonte di piacere, sembra essere la finestra su di un angolo cieco. (VALERIA ONGARO)


QUARTO CLASSIFICATO: Fabio Marricchi, Troppa vita

Testo adeguatamente strutturato: un ampio respiro è lasciato all’incipit, ben articolata la parte centrale, proporzionata la conclusione. Lo sviluppo è lineare, fabula e intreccio coincidono, tanto che a una lettura, il testo scorre molto bene, a volte, se possibile, anche troppo velocemente. Tra i personaggi, per come sono costruiti, ne emerge uno solo che meriti questo nome, il protagonista, un uomo irrequieto, o forse un uomo tediato, o perché no? Un uomo vuoto. Su di lui si concentra l’attenzione dell’autore. L’uomo cambia di luogo, paese, nazione, continente; si dedica per periodi più o meno lunghi a lavori vari, anche molto diversi, a volte ai limiti della legalità, per lasciarli quando ne è esaurita la novità. Nulla si sa delle sue amicizie e degli eventuali rapporti con altri individui, niente del suo carattere. Un uomo senza principi, senza affetti, quasi senza ricordi. Eppure, al suo confronto, gli altri personaggi sono ancora più poveri, comprese le sue donne. I nomi dei luoghi in cui vive e lavora sono sparati a raffica; non c’è differenza tra l’uno e l’altro. Neppure i luoghi hanno un’anima. Frasi brevi e chiare. Troppa vita. Molti i fatti che riempiono il tempo di una vita, ma, alla fine, di ciò che succede, di come accade, di cause e conseguenze per l’uomo non sappiamo nulla: nulla dei lavori che fa, né delle persone che incontra e neanche di quelle che frequenta. E, alla fine, la morte lo ricaccia nel nulla. (VALERIA ONGARO)


QUINTA CLASSIFICATA: Ottavia Iarocci, Acquasantiere 

L’organizzazione del testo non è quella tipica della narrativa, si avvicina piuttosto, fin dalla prima pagina, a quella della scenografia, dove si elencano i personaggi, facendo riferimento ai loro ruoli. Ma è una neonata a polarizzare le riflessioni dei personaggi. Quattro monologhi che ci permettono di ricostruire l’identità della bimba, affetta da “sindrome trisomica”, e di renderci conto dell’aridità e dell’ipocrisia delle persone che dovranno occuparsi di lei. Dai personaggi della madrina, la nonna, il prete, emerge il quadro di un ambiente asfittico e crudele, in cui tutti devono “comparire” e ognuno sembrare migliore di quello che è, mentre disprezza gli altri con cui è in continua competizione. Particolarissimo e interessante l’uso della lingua. L’autrice cerca di rendere il fluire del pensiero, utilizzando un impasto di lingua e calchi dialettali, abolendo buona parte della punteggiatura, talvolta anche gli spazi tra le parole, costruendo dei conglomerati, spesso racchiusi dai trattini, lunghi anche un’intera frase, come quelli che costruiamo quando pensiamo o parliamo in fretta, senza tirare il fiato. “Acquasantiere” ricorda quel “sepolcri imbiancati” di evangelica memoria, che sembra attagliarsi particolarmente bene ai personaggi del racconto. (VALERIA ONGARO)

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